IL REGNO DEL PIANETA DELLE SCIMMIE

Regia: Wes Ball

Cast: Owen Teague, Freya Allan, Peter Macon, Lydia Peckham, Travis Jeffery, Kevin Durand, Neil Sandilands, William H. Macy, Sara Wiseman, Ras-Samuel Welda’abzgi, Nina Gallas, Dichen Lachman, Eka Darville

Genere: Azione

Durata: 145 minuti

Cinema Garibaldi di Piazza Armerina

Dal 24 al 29 Maggio

1° SPETTACOLO alle ore 18:00

2° SPETTACOLO alle ore 21:00

Trama: Sono passate generazioni dalla morte del primo leader delle scimmie senzienti, Cesare, e ora i primati hanno il controllo del mondo, ma non hanno sviluppato una società particolarmente evoluta. Noa vive infatti in una piccola comunità rurale, che usa come torri i tralicci dell’alta tensione ricoperti dalla vegetazione. La specializzazione del suo clan è addestrare aquile, di cui rubano le uova per crescerle in modo che rispondano al canto delle scimmie. Questa comunità viene razziata dal vicino regno di Proximus Caesar, che ha costruito una società militare e dittatoriale, grazie alle armi elettriche fornitegli da un umano suo prigioniero. Gli aggressori cercano una giovane donna, che troverà rifugio viaggiando insieme a Noa e al saggio orango Raka, custode delle antiche lezioni di Cesare.
Riparte la saga del Pianeta delle scimmie con un netto salto temporale in avanti e però pure un villain e un protagonista troppo generici. L’ultimo atto apre prospettive interessanti per il futuro, ma ci arriva con fatica.
L’idea di fondo di questa ripartenza sembra essere che gli umani non hanno ancora detto l’ultima parola: il virus che li ha resi progressivamente più stupiti e involuti, tanto che vengono chiamati Eco, non ha colpito tutti loro. Proximus cerca di usare le conoscenze di questi rari sopravvissuti per armarsi meglio, ma pure per schiacciarli una volta per tutte, temendo che cerchino di riprendere il controllo. E il film, in ultima analisi, non sembra dargli torto: gli umani sono davvero creature infide, per quanto la condizione disperata in cui si trovano in fondo li giustifica. Il che apre un dilemma intrigante per i prossimi capitoli (Wes Ball, il regista, ha concepito Il regno del pianeta delle scimmie come l’inizio di una trilogia), ma per arrivarci impiega due ore e venti minuti, costellati di luoghi comuni, di simbologie fin troppo trasparenti e di dialoghi stentati.
Il principale limite del film è infatti ritmico e non è una novità: già i capitoli di Matt Reeves, per chi scrive molto sopravvalutati, si incartavano nel momento in cui i primati iniziavano a parlare, in modo lento e faticoso, saltando spesso pronomi, preposizioni e verbi ausiliari, proferendo inframezzate di pause, come se ogni termine richiedesse uno sforzo. In quei film aveva senso e comunque c’erano spesso anche umani in scena che parlavano più velocemente, rialzando il ritmo, mentre qui siamo di fronte a dialoghi quasi tra sole scimmie, che si saranno pure evolute ma ancora hanno difficoltà nell’eloquio. Ci sono poi prevedibili schemi di sceneggiatura: ovviamente la falconeria con le aquile – per altro rapaci affatto casuali che subito ci dicono quali personaggi sarebbero incarnazioni dello spirito americano e quindi “eroici” – sembra per buona parte del film una sottotrama senza un perché, ma si rivela risolutiva nel finale. Sono insomma l’equivalente alato della pistola “di Cechov”: se le vedi nel primo atto sai che prima della fine attaccheranno qualcuno con i loro affilati artigli.
L’orango Raka, quello che si esprime meglio, cade invece nel contestato tropo “bury your gay”, secondo il quale i personaggi che si rivelano omosessuali (nel suo caso è una cosa lasciata intuire dalle sue prime battute) finiscono per fare una brutta fine. La ragazza ricercata dalle scimmie, detta Nova, è interpretata poi dall’inglese Freya Allen, la Ciri della serie Tv The Witcher, ed emerge come il personaggio più enigmatico, animato da lealtà in conflitto tra loro e pronta anche a gesti estremi – che risulteranno spiazzanti per Noa. Quest’ultimo purtroppo non ha invece lo spessore di Cesare ed è, almeno in questo primo capitolo, un ragazzo di campagna, una sorta di Luke Skywalker che va a scontrarsi con un impero (crudele ma lungimirante) sotto la guida di un saggio maestro. Il suo è il più tipico dei viaggi dell’eroe e si snoda senza alcuna sorpresa.
Wes Ball realizza alcune buone sequenze spettacolari e le città ridotte ad antiche rovine coperte di vegetazione sono uno scenario affascinante. Non sempre la logica degli eventi è però convincente, ci sono le tipiche scorciatoie del cinema avventuroso e pure qualche drammatizzazione di troppo: l’acqua che invade il finale non ha alcuna ragione – a fronte di un dislivello di una decina di metri o poco più – per continuare a salire come fa invece nel film. Sembra che Ball voglia sfidare il finale di Avatar: La via dell’acqua, ma ovviamente il confronto con James Cameron è perdente. Nonostante i punti deboli rimane però la curiosità di vedere come una saga tanto longeva continuerà a reinventare se stessa nei prossimi capitoli, quando il rallentamento della ripartenza sarà ormai solo un ricordo.