Regia: Michael B. Jordan
Cast: Michael B. Jordan, Tessa Thompson, Phylicia Rashad, Jonathan Majors, Selenis Leyva, Spence Moore II, Michelle Davidson
Genere: Drammatico/Sportivo
Durata: 117 minuti
Cinema Garibaldi di Piazza Armerina
Dal 10 al 14 Marzo
1° SPETTACOLO 19:00
2° SPETTCOLO 21:30
Trama:
Adonis è prossimo a ritirarsi, gli manca solo di vincere un ultimo incontro per uscire di scena nel modo più glorioso e poi dedicarsi alla famiglia – e proteggere la propria salute dalle fratture e dalle contusioni del ring. Del resto anche sua moglie, prossima a rischio di perdere l’udito come del resto la figlia non udente, ha lasciato la carriera di cantante e ora si limita a produrre i successi discografici di altri. Quando però Adonis incontra Damian, detto Dame, suo vecchio amico dei giorni in cui viveva in una casa famiglia, realizza di avere con lui un debito da pagare. Damian infatti era andato in galera nel corso di una rissa che proprio lui aveva scatenato, inoltre Adonis non gli è stato vicino negli anni di carcere. Damian sembra chiedere l’impossibile: un incontro di pugilato per il titolo dei pesi massimi, ma del resto lo stesso Adonis aveva avuto una analoga chance, quindi come potrà dirgli di no?
Michael B. Jordan è protagonista e pure regista di Creed III, dove dimostra una buona mano e qualche idea, ma non bastano a salvare un film di ottundente prevedibilità.
Creed III si apre su un flashback con Adonis ancora bambino, in una cameretta a casa Creed, decorata di immagini tratte dagli anime – ben riconoscibile, in particolare Naruto. Forse anche per questo, quando arriverà il momento dell’inevitabile faccia a faccia sul ring con Dame, la scena si tingerà di toni metafisici come se fossimo nella battaglia di un manga: il pubblico scompare nella tensione tra i due contendenti, che non vedono più nemmeno i rispettivi allenatori. Addirittura appaiono le sbarre di una prigione sul ring, trasformando l’incontro di pugilato in uno psicodramma che inscena la necessità di superare il passato di entrambi. Infatti l’esito somiglierà più a quello di una seduta di terapia che non di un incontro di boxe – e in questi giorni Michael B. Jordan va parlando di un “Creed Universe” dove implicitamente potremmo rivedere anche Dame.
Purtroppo questa spiazzante soluzione visiva è l’unico brivido in un film altrimenti risaputo dal primo all’ultimo minuto. È immediatamente ovvio quello che dovrebbe essere un colpo di scena rivelato a due terzi del film; è del tutto scontato come andranno i tre incontri di pugilato; e, quel che è peggio, è a dir poco manicheo il tratteggio del personaggio di Dame. Caricato d’odio da diciotto anni di prigione finisce per dimostrare di essere diventato più o meno un criminale, che si aggira con gangster armati di pistola e si comporta come un bullo non appena non ha più bisogno di Adonis.
Il mélo sportivo vive anche di faccia a faccia tra figure dello stesso calibro, magari anche segnate da un’amicizia fuori dall’agone, e qui quello che ha subito un grave torto è chiaramente l’antagonista. Il suo cammino sarebbe da figura tragica, ma l’accetta della sceneggiatura si abbatte più volte su di lui facendo tutto il possibile per renderlo disprezzabile e farci tifare per l’eroe, che invece è così nobile che lo combatte ma ha comunque i sensi di colpa e cerca soprattutto la riconciliazione. Mettiamoci pure che il combattimento di pugilato, al contrario di quelli di Rocky nonostante molti round di cazzotti in pieno volto, non sfigura i personaggi, che rimangono giovani e belli.
Ne viene insomma una versione esangue e predigerita dello sport, molto inferiore all’epica loser che ha segnato la carriera di Sylvester Stallone. E la sua assenza si fa sentire, perché senza di lui manca anche un po’ di calore umano e humour, che Michael B. Jordan non riesce più a trovare dai tempi di quando era bambino sul set di The Wire.
Discutibile anche l’interpretazione di Jonathan Majors, che sfoggia un fisico impressionante e sicuramente è meglio di Florian Munteanu nei panni del figlio di Ivan Drago dello scorso capitolo (e poco ci voleva), ma rimane un attore interlocutorio, che calca tantissimo le espressioni facciali, trasfigurando spesso l’empatia in una smorfia. A volte funziona come maschera grottesca, che per esempio è quello che gli richiede il ruolo di Kang alla Marvel, ma qui non aiuta una scrittura già di suo farraginosa.