IO SONO LA FINE DEL MONDO

Regista: Gennaro Nunziante

Cast: Angelo Duro, Giorgio Colangeli, Matilde Piana, Marilù Pipitone, Evelyn Famà, Simone Montedoro, Carlo Ferreri

Genere: Commedia

Durata: 96 minuti

Cinema Garibaldi di Piazza Armerina

Dal 31 Gennaio al 5 Febbraio

1° SPETTACOLO alle ore 19:00

2° SPETTACOLO alle ore 21:30



Trama: Angelo Duro fa l’autista di notte raccattando gli adolescenti ubriachi fuori dalle discoteche. La sorella, che non sentiva da anni, una mattina lo chiama per responsabilizzarlo sulla gestione dei genitori anziani di cui lei si è sempre e sola preoccupata. È estate, ha una vacanza programmata e gli implora di darle il cambio. Prima riluttante, Angelo Duro accetterà l’incarico nell’ottica di vendicarsi con loro di tutto quello che gli hanno vietato o costretto di fare da piccolo.
Gennaro Nunziante, il regista dei primi film con Checco Zalone e con Pio e Amedeo, costruisce una cornice da commedia irriverente e paradossale sul personaggio comico, popolare in tv e al teatro, di Angelo Duro.
Ennesimo esperimento di teletrasporto sul grande schermo di un personaggio comico televisivo reso popolare dal programma Le Iene ma anche dall’apparizione, un po’ contestata, al Festival di Sanremo 2023. Ma il siciliano Angelo Duro la popolarità se l’è ben costruita e blindata con tour teatrali (a febbraio 2025 arriva il nuovo spettacolo Ho tre belle notizie) che hanno registrato il tutto esaurito e con un rapporto con il pubblico tutto suo, giocato su un personaggio cinico e cattivo (di carattere) che dice le sue battute senza battere mai ciglio sicuramente anche quando indossa gli occhiali da vista scuri.
Il dilemma però è sempre quello, come rendere cinematografico l’arco narrativo di uno stand-up comedian che in genere sta da solo su un palco e, per di più, nel caso di Angelo Duro, è praticamente inespressivo? Entra così in gioco Gennaro Nunziante che dà al film una cornice di grande qualità che, a volte, può apparire addirittura sprecata. Il regista dei primi quattro film con Checco Zalone apporta tutta la sua esperienza nella sceneggiatura, scritta insieme al comico, in cui costruisce una situazione da commedia paradossale – un figlio ingrato che si vendica con i genitori anziani di tutto quello che gli hanno negato da piccolo – per cercare di riflettere su alcuni tabù della nostra società. Primo fra tutti quello del “fine vita” dei nostri vecchi affidati, appena possibile, alle Rsa. La coppia dei coniugi anziani, interpretata dal navigato Giorgio Colangeli, qui in una versione sicula che un po’ lo limita, e da una strepitosa Matilde Piana che, finalmente, giocando sugli stereotipi della mamma siciliana se ne libera, è infatti il fulcro narrativo sul quale la comicità di Angelo Duro si esprime per tutta la durata del film.
Il meccanismo del contrappasso dantesco a cui il protagonista sottopone i suoi genitori si rivela però, appunto, molto meccanico e, soprattutto, ripetitivo. Ogni sketch interno al film si muove sulle stesse corde comiche e sullo stesso risvolto paradossale (ad esempio: mi lasciavate da piccolo dai nonni? E ora io vi lascio al cimitero dai nonni; e così via). Il fatto è che quando l’idea del politicamente scorretto è così artefatta ed estrema, proprio come lo può essere il politicamente corretto (qualsiasi cosa voglia esattamente e veramente dire), la comicità perde la sua forza trasgressiva e graffiante. Il personaggio di Angelo Duro, per statuto respingente, attraversa tutto il film dicendo le sue battute – esattamente come sul palco – senza che la sua fisicità prenda alcuna forma sul grande schermo. Si potrà dire che questa è proprio la sua cifra stilistica – l’imperturbabilità, la fissità, gli occhiali neri che spesso nascondono gli occhi del comico che quando invece sono visibili non guardano mai la persona con cui sta parlando, ennesima sprezzatura del personaggio – però qualcosa non funziona sul grande schermo, diversamente dalla sua partecipazione in Tiramisù di Fabio De Luigi. Ciononostante si ride a denti molto stretti, forse anche un po’ vergognandosene. Anche se le idee comiche – ad esempio il lavoro del protagonista che la notte porta a casa i giovani ubriachi e vomitanti dalle discoteche, il body shaming anche sui bambini – non acquistano mai una forza veramente trasgressiva proprio perché la gag di Angelo Duro inizia e finisce sempre e solo verbalmente («Preferisco le parole, uccidono di più» teorizza il protagonista quando gli mettono un’arma in mano) ma al cinema, essendo visiva, toglie pure quel poco di immaginazione che le parole del comico possono ispirare.
Forse non è corretto fare paragoni con altri personaggi passati dalla tv al cinema come Checco Zalone che utilizza registri comici completamente opposti, legati proprio alla fisicità e alle espressioni facciali portate alle loro estreme conseguenze. Però sul gioco comune del politicamente scorretto, il comico pugliese al cinema, grazie proprio al lavoro di Gennaro Nunziante che qui collabora anche al montaggio con il suo fido Pietro Morana (e, a sorpresa, lo stesso Angelo Duro), ha sempre cercato di accordare la parola con l’immagine perché, appunto, l’idea è che dovremmo essere al cinema. E purtroppo non bastano gli sforzi del direttore della fotografia Massimiliano Kuveiller che, oltre alla giusta luce palermitana, cerca di dare movimento, anche di macchina, a un’estenuante ripetitività comica.