Regista: Ridley Scott
Cast: Joaquin Phoenix, Vanessa Kirby, Tahar Rahim, Rupert Everett, Mark Bonnar, Paul Rhys, Ben Miles, Youssef Kerkour, Hannah Flynn, Mamie Barry, Ryan Mann, Scott Caine, Ludivine Sagnier, Ian McNeice, John Hollingworth, Jonathan Barnwell, Scott Handy, Phil Cornwell, Gavin Spokes, Edouard Philipponat, Harry Taurasi, Thea Achillea, Arthur McBain, Rowena Bentley, Richard Leeming, Paul O’Kelly, Paul Riddell, Ed Eales White, Brian Rodger, Michael J. Fellows, Audrey Marie Bartolo
Genere: Drammatico
Durata: 158 minuti
Cinema Garibaldi di Piazza Armerina
DAL 7 AL 12 DICEMBRE
1° SPETTACOLO alle ore 18:00
2° SPETTACOLO alle ore 21:00
Trama:
A partire dalla Rivoluzione francese del 1789, Napoleon segue la parabola dell’ascesa al potere supremo di Napoleone Bonaparte da sconosciuto militare, capitano d’artiglieria, a Imperatore. Oltre alle armi, alle battaglie e alle strategie politiche, il film racconta da vicino la burrascosa storia d’amore di Napoleone con Giuseppina.
Come il vero Napoleone, due volte nella polvere e due volte sull’altare, la storia messa in scena da Ridley Scott si divide in due strade, tra straordinarie scene di guerra e una storia d’amore da romanzo d’appendice, che non s’incontrano mai.
Napoleone secondo Ridley Scott. O della sfrontatezza, marchio di fabbrica delle ultime opere del regista britannico, penso a Tutti i soldi del mondo e a House of Gucci.
Con sprezzo del pericolo, anche questa volta, alla prova del fuoco del personaggio mastodontico di Napoleone, cioè il mito che si confonde con la storia e non viceversa, Scott traduce e tradisce per i contemporanei l’ascesa al trono del mondo occidentale di Napoleone Bonaparte, politico e generale francese vissuto tra il 1769 e il 1821 cercando il film definitivo che contenga quelli precedenti, un po’ anche quello sognato da Kubrick, con – tutt’insieme – il condottiero, il tiranno, il riformatore, l’imperatore, il traditore della Rivoluzione francese (d’altro canto il cartello iniziale recita che «le persone sono spinte dalla miseria alla rivoluzione» e viceversa) e l’Uomo.
E per farlo non disdegna certo la scorciatoie di una narrazione lineare e precisa nei riferimenti, come una pagina di Wikipedia, che mette in fila (seppur a volte superficialmente come per le vicende delle due isole, Elba e Sant’Elena) tutti gli snodi fondamentali della sua storia, posizionando improvvisamente Napoleone nella scena del crimine sotto la ghigliottina della regina Maria Antonietta.
Già da qui, già dalla prima scena inverosimile, è il mito di Napoleone che si confonde con la storia. Ma il mito va, ancora una volta, decostruito, riportato cioè dall’investitura mistica e divina a quella del cittadino che si autoincorona ritornando al futuro del Gladiatore di Ridley Scott d’inizio millennio con l’imperatore Commodo sempre interpretato da Joaquin Phoenix. Un uomo per di più proveniente dall’isola che fa dannare la Francia, un vero e proprio “delinquente corso” come viene apostrofato anche se il legame, fortissimo, di Napoleone con la sua terra non viene mai approfondito (peccato perché è proprio lì che il futuro sovrano aveva imparato a sparare sulla gente senza tentennamenti come vedremo nel film).
Così ecco che la sceneggiatura di David Scarpa si preme di sottolineare la prosaicità del personaggio e, naturalmente, il suo essere pragmatico che lo porta a vincere la sua prima battaglia a Tolone contro gli inglesi e l’immediata promozione sul campo, con il sangue in faccia, da capitano a generale. Da qui inizia la caratterizzazione del Napoleone secondo Joaquin Phoenix che, potremmo dire con una citazione abusata ma esemplificativa, ha due espressioni, con la feluca e senza la feluca.
Il suo non memorabile Bonaparte è un uomo meditabondo, a tal punto che si assopisce frequentemente facendo sorridere pure Arthur Wellesley, il duca di Wellington nella battaglia di Waterloo, interpretato da un perfetto Rupert Everett.
L’ironia anglosassone sul francese Bonaparte si sente tutta, non sappiamo quanto influenzata dalla geopolitica degli autori (ci sono belle parole anche per noi quando Napoleon dice: «Ho già conquistato l’Italia che si è arresa senza combattere»).
Certo le annotazioni più minime e minuziose disegnano un uomo mammone, l’unico che si tappa le orecchie quando parte la sua artiglieria con la quale, diceva in vita, “si vincono le grandi battaglie”, uno che “ama le costolette” e che s’invaghisce di una Giuseppina, all’inizio rappresentata come una punk londinese, che lo invita a vedere la “sorpresa” che ha sotto la gonna e che in seguito lui prenderà sessualmente da dietro con il ritmo di un coniglio, e il particolare viene replicato nel film.
La storia d’amore tra i due, senza grande alchimia tra Joaquin Phoenix e Vanessa Kirby memore della principessa Margaret di The Crown, prende la piega del feuilleton facendo capolino anche nelle battaglie più epocali perché Napoleone è in continuo dialogo epistolare e mentale con lei. Infatti, se l’etimologia greca della parola ‘storia’ ci porta all’idea dell'”ispezione visiva”, Napoleon di Ridley Scott costruisce proprio su visioni aneddotiche la descrizione dell’anima di un uomo che pensava in grande e che si voleva eternare, ecco dunque la sequenza dell’imprinting con la mummia sotto le piramidi, quella caduca della mosca nel vino e la problematica del figlio che Giuseppina non gli dà.
Poi certo il film è fatto anche di grandi battaglie che il regista ‘colora’ (l’autore della fotografia è il fido Dariusz Wolski) a seconda della location, dal bianco di Austerlitz al nero di Tolone con tanto di colonna sonora tra “Kyrie Eleison” e canti polifonici corsi.
Ridley Scott qui cerca l’epica, l’epopea, con le masse in combattimento che rendono bene l’idea dello schifo che è la guerra con un inevitabile rimando all’oggi con i soldati, morti che camminano, spostati come pedine. Ma le due narrazioni, quella austera, giustamente severa delle battaglie, e quella intima, quasi surreale nel kitsch della rappresentazione che cerca il comico, non s’incontrano mai. Inoltre, è bene ricordarlo, dal sublime al ridicolo c’è solo un passo.